- Contesto I) ‘Impianti di climatizzazione’
I sistemi di umidificazione dell’aria sono potenziali sorgenti di contaminazione. E’ importante evidenziare il fatto che il batterio non può essere veicolato da vapore acqueo, anche se proveniente da liquido contaminato; può invece trovarsi in goccioline d’acqua di piccole dimensioni miscelate ad una corrente d’aria (aerosol). In questa ottica sono preferibili sistemi di umidificazione a vapore, con l’accorgimento di evitare distribuzioni interne che ne causino la parziale condensa. Ulteriore precauzione è l’installazione di filtri a monte e a valle delle unità di trattamento dell’aria, sia sui canali di mandata che su quelli di ripresa. L’onere economico di una filtrazione efficace sulla macchina è significativamente inferiore rispetto a quello dovuto per la pulizia dei sistemi di distribuzione. Nel caso di adozione di batterie di umidificazione a liquido è necessario un corretto dimensionamento del separatore di gocce che, associato a basse velocità dell’aria in transito nella batteria evita la formazione di aerosol. In ogni caso è auspicabile una pulizia periodica dei componenti ed un controllo dell’acqua in ingresso.
Numerosi studi indicano che, in riferimento ai materiali di corrente utilizzo negli impianti idrosanitari, la velocità media di sviluppo del biofilm e la concentrazione di Legionella in esso annidata sono ridotte per superfici in rame, il quale esercita una funzione batteriostatica o battericida, mentre sono accentuate per polietilene, gomma, e in generale per i composti polimerici. Il vetro si colloca in posizione intermedia. Particolarmente suscettibili sono i componenti in acciaio, in quanto gli ioni ferrosi rilasciati per corrosione forniscono nutrimento ai microorganismi. L’evenienza di superfici porose o microfratturate accentua la probabilità di colonizzazione batterica.
Fra le tecniche chimiche e fisiche di bonifica oggi disponibili le più applicate a livello impiantistico sono lo shock termico, il mantenimento in temperatura ed il trattamento termico continuo. Il primo consiste nell’innalzare la temperatura di produzione ed accumulo dell’acqua calda sanitaria a 70/80 °C per tre giorni con erogazione non interrotta ai terminali per trenta minuti, verificando che ai punti distali si raggiunga una temperatura di erogazione minima di 60 °C. Il secondo prevede il mantenimento permanente di una temperatura di 55/60 °C all’interno della rete di distribuzione. Il terzo invece una temperatura costante di 60 °C per la produzione e l’accumulo e di 48 °C per la distribuzione. Le alte temperature, oltre a costituire un potenziale di ustione per gli utenti dell’impianto, richiedono un elevato dispendio energetico a fronte del rischio di danneggiamento dei componenti, specie nei circuiti di vecchia data. La presenza di depositi calcarei, caratterizzati da un basso coefficiente di scambio termico, può rendere parzialmente inefficace questo tipo di interventi.
- Contesto III) ‘Torri di raffreddamento’
All’interno delle torri di raffreddamento può instaurarsi un meccanismo progressivo tale da favorire l’insorgenza di legionellosi; l’acqua può stagnare nelle vasca inferiore di raccolta a temperature critiche ed in seguito essere trascinata come aerosol nel pennacchio per incompleta evaporazione o per inefficienza dei separatori di gocce a causa di incrostazioni o corrosione degli stessi. E’ buona norma fare attenzione al corretto posizionamento delle torri evaporative rispetto alla direzione prevalente del vento, al fine di regimare la dispersione dei flussi d’aria potenzialmente patogeni.
La questione delle tecniche di disinfezione si presenta particolarmente complessa nel caso di Legionella in quanto, nonostante il batterio sia scarsamente resistente ai trattamenti, esso possiede una elevatissima capacità di adattamento. Le esperienze sul campo hanno evidenziato che anche a seguito di interventi di bonifica si verifica un’alternanza di periodi di remissione e di riacutizzazione della circolazione microbica, senza mai ottenere una decontaminazione completa e duratura nel tempo.
In generale l’attività dei disinfettanti è condizionata dai seguenti fattori: qualità e quantità della carica microbica, concentrazione e tempo di azione del disinfettante, presenza di sostanze inattivanti, natura del substrato da trattare, temperatura. Se il batterio si trova annidato in biofilm (fase bentonica) occorrono concentrazioni o tempi di azione di oltre quattro volte superiori rispetto al caso in cui si trovi libero in acqua (fase planctonica).
I metodi chimici di disinfezione sono riconducibili a due categorie: gli agenti ossidanti quali il cloro, il bromo, le clorammine, l’ozono; gli ioni metallici quali il rame e l’argento.
Alle basse temperature si effettua iperclorazione continua ed iperclorazione shock, entrambe poco onerose. La prima prevede l’immissione in circolo di basse concentrazioni di ipoclorito di calcio o di sodio, mentre la seconda l’immissione ad alta concentrazione. In soluzione acquosa si formano due composti, funzione del grado di pH, l’acido ipocloroso e lo ione ipoclorito. L’acido è più efficace dello ione nell’inattivazione del batterio Legionella ma la sua azione decade a temperature superiori a 40 °C. I composti chimici a base di cloro hanno azione corrosiva più o meno accentuata a seconda del grado di acidità; un loro uso continuativo espone le superfici di applicazione ad un precoce invecchiamento.
Alle alte temperature si impiega invece biossido di cloro, un gas abbastanza stabile prodotto dalla reazione di clorito di sodio ed acido cloridrico. Data l’intrinseca pericolosità della sua conservazione, deve essere prodotto direttamente al momento dell’utilizzo, richiedendo dispositivi non economici. La capacità di degradare le proteine batteriche ne fa un potente disinfettante che, a differenza degli altri composti del cloro, è efficace anche su biofilm.
Meno efficace del cloro, viene impiegato in soluzione acquosa sotto forma di acido ipobromoso per il trattamento disinfettante di piscine e torri di raffreddamento. Essendo molto reattivo è richiesta l’immissione in circolo di quantità elevate. Non trova applicazione in impianti di potabilizzazione dell’acqua.
Le clorammine inorganiche sono composti chimici dati dalla reazione tra cloro (Cl2) ed ammoniaca (NH3), impiegati nei sistemi di trattamento dell’acqua potabile. L’azione di tali composti, più stabile ma più lenta rispetto a quella del cloro, si esplica con il blocco del metabolismo batterico. Sono tuttora in fase di studio gli effetti dei sottoprodotti della disinfezione con clorammine sulla salute umana.
L’ozono (O3) è un gas ad azione disinfettante molto rapida ed efficace ma essa decade rapidamente per la trasformazione in ossigeno molecolare (O2). I limiti nell’impiego dell’ozono sono dovuti al costo di produzione del gas ed alla ridotta portata spaziale e temporale del suo raggio di azione.
Gli ioni rame e argento, disciolti in acqua per elettrolisi o per soluzione di sali metallici, hanno un elevato potere disinfettante in quanto interferiscono con i complessi enzimatici legati alla respirazione batterica. L’effetto è persistente anche a distanza di alcune settimane dal trattamento, tuttavia lo ione argento è soggetto ad inattivazione da parte di alcuni metalli di uso corrente come lo zinco. Per applicazioni su biofilm si sfrutta spesso l’azione sinergica degli ioni metallici con il perossido di idrogeno, la cui forte capacità ossidativa facilita la penetrazione di Cu/Ag all’interno della matrice extracellulare organica e inorganica che avvolge i batteri.
In alternativa ai metodi chimici si può ricorrere a dispositivi ad azione fisica quali i raggi ultravioletti o le membrane filtranti, oltre ai trattamenti termici descritti in precedenza.
Le radiazioni ultraviolette a bassa lunghezza d’onda hanno proprietà biocida in quanto danneggiano i meccanismi di replicazione del DNA (formano dimeri di timidina a livello della doppia elica). La loro azione è insufficiente nel controllo ambientale della Legionella ed è necessario associarli a trattamenti periodici di altra natura. La scarsa capacità di penetrazione ne consente l’utilizzo solo su flussi d’acqua di spessore limitato, e non anche su masse di stoccaggio. Hanno comunque il vantaggio di una rapida operatività e di una totale assenza di effetti residui. Le radiazioni vengono generate da lampade a vapori di mercurio disposte in prossimità dei terminali di erogazione. Esse hanno durata non superiore alle 8000 ore di esercizio in quanto la precipitazione ed il deposito delle sostanze contenute dà luogo al fenomeno dello “scattering” ovvero della deviazione dei raggi.
La tecnologia è di largo impiego, non richiede prodotti chimici ed ha un basso consumo energetico. Le membrane filtranti sono semipermeabili; tramite un processo di separazione vengono attraversate dall’acqua ma trattengono le particelle solide in sospensione. Ciò implica la necessità di una frequente pulizia o sostituzione per la rapida perdita di efficiacia, con conseguenti costi elevati. Il flusso viene mantenuto tramite l’applicazione di un’alta pressione, di un gradiente osmotico o di un potenziale elettrico.
Come riferimento si segnala la pubblicazione: “Libro bianco sulla Legionella” edita da AICARR.